Space-Farming, come riusciremo a prosperare in altri mondi lontani grazie all’agricoltura spaziale

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Come l’atmosfera terrestre viene ripulita dalle piante con l’aiuto del Sole, così la nostra atmosfera artificiale può essere rinnovata… Le piante che portiamo con noi durante il viaggio possono lavorare ininterrottamente”. Lo scriveva agli inizi del Novecento il pioniere dell’astronautica, il russo Konstantin Tsiolkovsky. L’umanità si prepara ad affrontare missioni spaziali che potrebbero durare diversi mesi o anni, dove le risorse essenziali come ossigeno, acqua e cibo saranno fortemente limitate e non potranno essere reintegrate se non con missioni di rifornimento. La risposta è la stessa che conosciamo dai tempi del Neolitico: l’agricoltura. Coltivare piante su altri mondi non solo riduce la dipendenza dalle missioni di rifornimento, ma apre la strada a una fonte rinnovabile di cibo che può contribuire alla sostenibilità a lungo termine degli ambienti extraterrestri. Lo spazio è un ambiente ostile per l’agricoltura e presenta una serie di problemi che devono essere risolti, tra i quali l’assenza di gravità, la necessità di illuminazione artificiale, la scarsità di acqua e di altri nutrienti vitali e la quantità limitata di terra disponibile. La gravità svolge un ruolo importante per lo sviluppo delle piante, poiché indica loro dove far crescere foglie e radici. Pertanto, nelle condizioni di microgravità tipiche di un volo spaziale, lo sviluppo delle piante è significativamente influenzato ed è necessario introdurre adattamenti innovativi per garantire il successo delle coltivazioni. Anche le radiazioni rappresentano una minaccia, che deve essere contrastata da misure efficaci di radioprotezione per salvaguardare la salute delle piante. Per comprendere lo stato dell’arte dell’agricoltura spaziale, abbiamo intervistato Stefania De Pascale, professore ordinario presso il Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e responsabile dell’Esa Laboratory of Crop research for Space.

Le piante svolgono un ruolo importante per l’umanità. Quale dovrebbe essere il ruolo della produzione alimentare a base vegetale nelle avventure spaziali?
“Il ruolo delle piante per la vita dell’uomo sulla Terra va molto al di là della semplice produzione di cibo e sarà altrettanto importante per la sopravvivenza dell’uomo nello spazio. La soluzione proposta dai ricercatori è quella di creare nello spazio un ecosistema artificiale definito sistema biorigenerativo di supporto alla vita Blss (Bioregenerative Life Support System), in cui interagiscono organismi biologici differenti, così come avviene negli ecosistemi terrestri. Si tratta di creare un ecosistema basato sulle interazioni tra organismi produttori (alghe, piante verdi e altri organismi fotosintetici), organismi decompositori (batteri, funghi e detritivori come vermi e larve di insetti) e organismi consumatori (l’equipaggio umano), alloggiati in relativi compartimenti, in cui ciascuno utilizza come risorsa i prodotti di scarto dell’altro, in un ideale ciclo chiuso”

Che cos’è il Consorzio “Melissa”?
“Dal 2013, il Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II di Napoli è partner ufficiale del Consorzio Melissa (Micro-Ecological Life Support System Alternative), il programma dell’Agenzia spaziale europea (Esa) che studia dal 1987 i sistemi di supporto vitale a ciclo chiuso con un approccio di tipo ecosistemico. Da allora partecipiamo attivamente ai progetti relativi al compartimento destinato alla coltivazione delle piante per un Blss nell’ambito di questo ambizioso programma. Il 19 novembre 2019 abbiamo inaugurato nel nostro Dipartimento il Laboratory of Crop Research for Space, il primo laboratorio in Europa dedicato alla coltivazione delle piante per i sistemi rigenerativi di supporto alla vita nello spazio, nato dalla collaborazione con l’Esa e con l’Agenzia spaziale italiana”.

In che modo le piante coltivate in condizioni di microgravità sono differenti da quelle coltivate sulla Terra?
“La gravità svolge un ruolo cruciale nell’orientare la crescita delle piante, attraverso il cosiddetto tropismo gravitazionale. Nello spazio, in assenza di stimoli gravitazionali, le piante esibiscono modelli di crescita casuali o rispondono a stimoli diversi (per esempio, le radici si dirigono verso l’acqua e le chiome verso la luce). La microgravità influenza anche indirettamente le piante, modificando la disponibilità delle risorse e l’efficienza dei sistemi utilizzati per supportare la loro crescita, per esempio attraverso l’interazione tra gravità e dinamica dei fluidi. Nell’ambiente in microgravità della Stazione spaziale internazionale (Iss), l’acqua non si comporta come sulla Terra, cioè non rimane sul fondo di un contenitore e non si può versare, e se viene spruzzata forma goccioline che si urtano e si aggregano, formando gocce sempre più grandi, che rimangono sospese nell’aria”.

Ci sono altri problemi, oltre a quello dell’irrigazione?
“È importante fornire alle piante i nutrienti necessari. Sistemi di rilascio controllato di nutrienti possono essere incorporati nel substrato per garantire una fornitura costante di sostanze nutritive. Gli esperimenti condotti sulla Iss e in altre missioni spaziali hanno dimostrato la fattibilità della coltivazione delle piante, fornendo informazioni scientifiche preziose sulla risposta delle piante e per l’ottimizzazione dei sistemi di coltivazione, come i substrati capillari e le tecniche di irrigazione e nutrizione adatte alla microgravità. Gli ortaggi da foglia (le “insalate”) hanno dimostrato una buona adattabilità alle condizioni di microgravità e sono coltivati con successo a bordo della Iss nelle cosiddette salad machines e sono molto utili per avere a disposizione ingredienti freschi da inserire nella dieta degli astronauti. Ma anche i cereali, i pomodori, le barbabietole, i ravanelli e numerose altre piante per scopo alimentare vengono già coltivate nello spazio. Un piccolo morso per l’uomo, un grande balzo per l’umanità: con queste parole la Nasa aveva commentato il primo assaggio ufficiale nello spazio della lattuga romana prodotta in Veggie, una delle facility della Nasa installata a bordo della Iss, e consumata a chilometro zero nel 2015 dagli astronauti. Ma quello era veramente solo un assaggio. Il progetto Microgreens x Microgravity per la produzione di micro-ortaggi (microgreens) nello spazio, finanziato dal Ministero dell’Università e Ricerca e coordinato dall’Asi, di cui ho la responsabilità scientifica, ha l’obiettivo di definire i requisiti scientifici di un apparato di volo per la produzione di microortaggi freschi da raccogliere e consumare a bordo della Iss. I microgreens sono giovani piantine di diverse specie orticole, erbacee o aromatiche, che vengono raccolte appena una o due settimane dopo la semina, quando iniziano a svilupparsi le prime foglie vere. Sono piccoli e teneri, ma contengono un’alta concentrazione di fitonutrienti, vitamine, antiossidanti e minerali. Questa ricchezza nutrizionale li differenzia sia dai germinelli che dagli ortaggi maturi della stessa specie. L’apparato di crescita è attualmente in fase di progettazione industriale, grazie a un nuovo finanziamento dell’Asi, e questa fase è coordinata da Thales Alenia Space Italia. Questo apparato consentirà di produrre a bordo dell’Iss una quantità di micro-ortaggi sufficiente a fornire agli astronauti la dose giornaliera raccomandata di vitamina C, un potente antiossidante ma purtroppo instabile, quindi inadatto per il trasporto in lunghi viaggi spaziali”.

Quali colture sono ideali per lo spazio?
“La scelta delle colture da coltivare nello spazio si basa su diversi fattori chiave, tra cui l’elevata efficienza di rigenerazione delle risorse, l’alto valore nutrizionale, il ciclo di crescita veloce, la facilità di coltivazione in un ambiente controllato, la tolleranza a stress ambientali. Ma la scelta dipende anche dallo scenario di missione. A bordo delle stazioni orbitanti come la Iss, le limitazioni tecniche dipendono dalla ridotta disponibilità di volume e di energia, oltre che di tempo dell’equipaggio. In questi ambienti, vengono preferite colture caratterizzate da ciclo breve, taglia ridotta, tolleranza alla coltivazione in volumi ridotti in microgravità e alta produttività, intesa anche come indice di raccolta, cioè rapporto tra la frazione edibile e la biomassa totale delle piante.

E nelle missioni di lunga durata e per le future colonie spaziali?
Per rispondere ai fabbisogni nutrizionali dell’equipaggio, sono preferite colture che forniscono alimenti con elevato contenuto energetico, ricchi di carboidrati e di proteine (come grano tenero e grano duro, riso, patate, soia), oltre a colture da consumo fresco (pomodoro, lattuga). Non ci deve aspettare piante come quelle della Piccola bottega degli Orrori di Frank Oz, ma le stesse colture che sono alla base della nostra alimentazione sulla Terra. La selezione delle colture per la coltivazione spaziale dipenderà anche dalla capacità di gestire efficacemente il ciclo di vita delle piante, a cominciare dall’impollinazione, in un ambiente chiuso e controllato”.

È possibile rendere il suolo della Luna o di Marte adatti alla coltivazione delle piante?
“Questa operazione è una delle sfide più intriganti per l’esplorazione spaziale a lungo termine di Luna e Marte. Il suolo di questi corpi celesti, la regolite, presenta diversi problemi, tra cui la presenza di composti potenzialmente tossici per le piante, l’assenza di materia organica e la mancanza di nutrienti disponibili essenziali per la crescita delle piante. Tuttavia, ci sono diversi approcci che si stanno esplorando per superare queste sfide. Per supportare la crescita delle piante, il suolo su Marte e sulla Luna richiederà una robusta correzione, con l’aggiunta di sostanze organiche ottenute dal trattamento dei residui di coltivazione e dei rifiuti di missione (scarti alimentari, feci, urina), oltre a correttivi e biostimolanti microbici e non microbici per consentire la crescita delle piante”.

Lo studio della coltivazione di piante nello spazio è in grado di sviluppare sistemi esportabili anche sulla Terra?
“L’agricoltura spaziale è un campo in continua evoluzione che promette di rivoluzionare l’esplorazione spaziale e di avere ricadute positive sulla Terra. Sviluppando sistemi di coltivazione sostenibili e resilienti nello spazio, possiamo imparare a gestire meglio le risorse del nostro pianeta e a garantire la sicurezza alimentare per le generazioni future, in modo da contribuire a far fronte alla grande sfida dell’agricoltura di sfamare una popolazione in continuo aumento. Le conoscenze acquisite e le tecnologie sviluppate per coltivare le piante nello spazio consentiranno di coltivare in aree terrestri estreme, dai poli ai deserti, fino al cuore delle megalopoli moderne guadagnando più spazio per le piante sulla Terra. Il mio motto riflette questo ideale: Più piante nello spazio. Più spazio alle piante sulla Terra”.

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